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Enrico Berlinguer | Aldo Moro |
Il Partito Democratico, per certi versi, segna un'importante novità nella storia della politica italiana: la fusione tra la sinistra post-comunista italiana (nella sua ala più pragmatica e meno ideologica) e il cattolicesimo progressista (che aveva sempre militato nelle fila della DC, il partito avversario del PCI).Due filoni culturali e politici da sempre nemici-amici.
I comunisti gramsciani e "miglioristi", pur essendo materialisti e antireligiosi, avevano sempre avuto ben chiaro che in Italia non si poteva governare contro i cattolici, ma bisognava cercare compromessi, costruendo pazientemente una nuova egemonia culturale.
Da parte loro, i cattolici progressisti della sinistra "di base" DC, i "dossettiani", all'interclassismo (collaborazione tra classi) di Sturzo e De Gasperi, preferivano lo schema di un confronto-scontro tra classi agiate e classi popolari, schierandosi decisamente con queste ultime. E, pur non abbracciando lo schema della lotta di classe rivoluzionaria, ritenevano che non si potesse fare una politica "popolare" senza il Partito Comunista, cui riconoscevano un ruolo di rappresentanza delle masse popolari. Inoltre, erano affascinati dalle tesi sulla "scientificità" dell'analisi sociale marxista.
Caduto il muro di Berlino, cessato il pericolo sovietico, venuta meno l'unità politica dei cattolici, era inevitabile che Romeo e Giulietta (da sempre amanti, pur provenendo da famiglie avverse) cercassero di coronare il loro sogno d'amore. Il Partito Democratico è una novità senza dubbio importante nel panorama politico italiano, lo ribadiamo. Ma analizzarla ci fa capire quanto rischi di essere vuota la categoria del "nuovo" e della "novità".
Infatti, si tratta di una novità che vuole fondere due culture politiche vecchie.
Il muro di Berlino non è caduto per un'infiltrazione idrica, ma perché il comunismo ha dichiarato fallimento. E - con esso - le categorie politiche su cui si reggeva la reciproca attrazione tra comunisti miglioristi e cattolici progressisti, cioè l'analisi sociale marxista (rivelatasi tutt'altro che "scientifica") e lo statalismo (rivelatosi incapace di assicurare sviluppo ed emancipazione delle classi popolari, ma solo uno strumento per garantire privilegi alle nomenklature).
Quelle categorie politiche vecchie e inutilizzabili non vengono più difese ufficialmente, ma continuano a costituire un riflesso condizionato irresistibile.
Il linguaggio e gli slogan farebbero pensare a cambiamenti (sinistra "liberale", "merito", "responsabilità"), ma le soluzioni concrete sono sempre figlie dell'idea che a risolvere i problemi ci debba pensare lo Stato-papà (con il corollario di spesa pubblica, tasse, vincoli normativi, ecc.).
Questo accade perché è mancata nella sinistra italiana una seria autocritica, un'analisi sulle cause storiche ed ideologiche del proprio fallimento. Si è preferito cullarsi sul mito della "diversità" del comunismo italiano.
Una capacità autocritica non l'hanno avuta neanche i cattolici progressisti, che hanno sempre riconosciuto ai comunisti il primato dell'elaborazione politica, ritenendo semplicemente di doverla "fermentare" con la propria sensibilità.
Oggi, però, la mancanza di idee e progetti significa incapacità di governare, di rispondere alle sfide che la società propone; il che suscita inevitabilmente malcontento e delusione.
Significa incapacità di aprirsi al nuovo partito con un processo davvero democratico, perché la mancanza di una bussola ideale rischierebbe di provocare il caos. Meglio, dunque, parlare di "partecipazione" e "apertura alla società civile", ma organizzare primarie che rappresentino la blindatura delle classi dirigenti di Ds e Margherita.
Inoltre, la mancanza di una seria analisi politica rischia di lasciare in sospeso alcuni nodi, che potrebbero venire al pettine causando lacerazioni drammatiche nel Partito Democratico.
Infatti, come aveva profetizzato Augusto Del Noce, il vuoto di ideologia lasciato dal suicidio del marxismo sarebbe stato riempito - tra i postcomunisti - da un radicalismo di massa nichilista e utilitarista.
Questo "radicalismo" significa rifiuto radicale della società tradizionale e dei suoi valori (famiglia, vita, difesa dei non garantiti), che il vecchio PCI aveva sempre rispettato. Significa combattere apertamente (laicismo) la Chiesa che vuole difendere quei valori. Significa rifiutare impegni, responsabilità, vincoli sociali (matrimonio, figli, imprenditorialità). Significa continuare a invocare lo Stato, ma non più per "cambiare la società", bensì per garantirsi capricci e privilegi piccolo-borghesi.
Significa, quindi, entrare in rotta di collisione con il pensiero cattolico in maniera molto più netta di quanto gli stessi cattolici progressisti possano tollerare.
Sui temi della bioetica e della famiglia, sin qui, silenzio assoluto: come saranno affrontati?
Irrisolto anche il nodo della collocazione europea della nuova formazione: tra i socialisti (come vorrebbero gli ex diessini) o creando una nuova aggregazione liberal (come vorrebbero gli ex margheritini)?
Insomma: quali sono i valori fondanti del Partito Democratico? Qual è il progetto concreto (al di là di "pace, diritti, benessere") che si propone ai cittadini?
Solo il "buonismo veltroniano", attento all'immagine e agli slogan enfatici, desideroso di assecondare gli umori del momento, che vuol illudere di poter unire tutto e il contrario di tutto?
O il collante dell'antiberlusconismo e del pericolo delle "destre becere e ignoranti" (quasi che la propria militanza politica serva solo a coltivare un complesso di superiorità)?
P.S.: Un esponente del cattolicesimo progressista come Gianfranco Brunelli (considerato vicino ad Arturo Parisi), sul n.8/2008 della rivista dei padri dehoniani Il Regno, di cui è notista politico, ha scritto che il PD è “un partito privo di identità culturale e di progetto politico, ultima transizione interna alla storia post-comunista, e non prima figura di una nuova formazione democratico-riformatrice”; per i cattolici rimasti nel PD, Brunelli vede solo un futuro da “indipendenti di sinistra”.
P.P.S. L'avvento alla segreteria del PD di Bersani - che, va detto, è uno dei politici più seri provenienti dall'area comunista - sembra mettere il sigillo all'identità post-comunista del nuovo partito, insofferente verso chiunque (Rutelli, la Binetti, ...) si discosti dalla tradizione di famiglia.