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Politica - Notizie e Commenti
La crisi della politica (2): Beppe Grillo e i pericoli dell'antipolitica Stampa E-mail
L'ereditą di Guglielmo Giannini e dell'Uomo qualunque
      Scritto da Giovanni Martino
10/03/08
Ultimo Aggiornamento: 19/11/12
Guglielmo Giannini
 Beppe Grillo

Il fenomeno politico di Beppe Grillo non è nuovo.
L'aggravarsi della crisi economica e la perdurante incapacità della politica italiana di riformarsi fa assumere al fenomeno nuova rilevanza. Ma la nostra analisi conserva - ci sembra - tutta la sua attualità.


Guglielmo Giannini, fondatore dell'Uomo qualunque, era un commediografo (sceneggiò il primo film di Totò). Beppe Grillo, nuovo paladino della protesta popolare contro corruzione e inefficienza della politica, è un comico. Bastano questi tratti comuni a sovrapporre i due fenomeni? Il paragone storico è utile a comprendere l'attualità?

L'Uomo qualunque era un settimanale fondato sul finire dell'ultima guerra, nel dicembre 1944. La pubblicazione, scagliandosi contro i partiti, intercettò la rabbia degli Italiani che uscivano da una guerra disastrosa, e giunse in pochi mesi all'eccezionale tiratura di 850.000 copie. Secondo Giannini - liberale fautore di uno Stato minimo - per governare non serve la politica, la conciliazione degli interessi sulla base di valori chiari; basta l'amministrazione, "basta un buon ragioniere che entri in carica il primo gennaio e se ne vada il 31 dicembre. E non sia rieleggibile per nessuna ragione". L'entusiasmo dei suoi sostenitori convinse Giannini ad entrare nella competizione elettorale: 5,3% dei consensi alle elezioni per la Costituente del 1946. Un risultato lusinghiero, ma assolutamente insufficiente - anche per l'assoluta mancanza di proposte concrete capaci di risollevare l'Italia post-bellica - ad incidere sulla vita politica. In pochi anni la bolla si sgonfiò.

Giannini aveva individuato alcuni problemi reali: lo statalismo fascista, che aveva soffocato la libertà degli Italiani, trascinandoli nel disastro della guerra; lo statalismo social-comunista, che avanzava prepotente, rischiando di produrre danni ancora maggiori; l'italica "arte di arrangiarsi", che, trasferita in politica, si traduceva facilmente in pressappochismo e corruzione.
Le doti "artistiche" e giornalistiche rendevano Giannini capace di accendere gli animi, di creare una sintonia con i cittadini che sentivano sulla propria pelle i problemi denunciati.
Ma mancava ogni visione generale (se non un liberalismo banale e volgarizzato: non a caso Croce rifiutò l'appoggio di Giannini al Partito Liberale), capace di cogliere la complessità dei problemi, le cause reali, le soluzioni efficaci.

I paragoni storici spesso possono risultare forzati. Ma le affinità dell'Uomo qualunque col "fenomeno" Beppe Grillo ci sembrano impressionanti.

A dire il vero, Grillo non porta una novità di contenuti: l'insofferenza per i partiti, e per la politica in generale, è da tempo diffusa in Italia. La novità sta nella capacità del comico genovese di farsene catalizzatore, grazie alle sue doti di comunicatore.

Ancora una volta (come aveva saputo fare Giannini) alcuni problemi individuati sono reali: corruzione, elitarismo della politica, inefficienza, lontananza dai problemi concreti, connivenze tra poteri politici ed economici. Grillo ha fatto un accurato lavoro di "inchiesta" su molti temi industriali ed ambientali. Ha avuto la schiettezza e il coraggio - che indubbiamente molti altri non hanno avuto - di denunciare con forza questi problemi, facendo nomi e cognomi. Ed ha inoltre la simpatia, la capacità comunicativa di "bucare" l'uditorio, di far presa su chi lo ascolta. Questi elementi creano la sintonia con i cittadini che si riconoscono nei problemi denunciati.
Aggiungiamo la novità, rispetto al 1944, dell'uso di un blog su internet, che dà la sensazione di una maggiore partecipazione.

Il problema è che la sintonia su alcuni problemi, la simpatia per la schiettezza del personaggio, dà a molti suoi simpatizzanti la falsa sicurezza che possono fidarsi sempre di Grillo

E' giusto prestare attenzione a molte delle 'magagne' denunciate dal comico genovese; e, quando si rivelano fondate, sarebbe magari utile sostenerlo in campagne mirate e concrete, capaci di avere un esito positivo.

Analizziamo queste proposte, e vediamo in che misura siano accettabili o meno.

1) I tre punti della proposta di legge di iniziativa popolare.

Ripristino del voto di preferenza. Proposta sacrosanta. Oggi i parlamentari, più che eletti dai cittadini, sono nominati dalle segreterie di partito. Avevamo già segnalato che la mancanza del voto di preferenza (richiesto solo dall'UDC...) era il principale punto di debolezza della nuova legge elettorale (in ogni caso più democratica di quella precedente).

Ineleggibilità di chi ha già ricoperto due mandati elettorali al Parlamento. Un provvedimento che vorrebbe "svecchiare" la politica, ma ci sembra in singolare contraddizione col punto precedente, perché sottrae agli elettori il diritto di decidere quanto a lungo vogliano essere rappresentati da una persona. Inoltre, ci sembra una proposta viziata dal pregiudizio che l'attività politica sia un'attività facile, alla portata di tutti, senza bisogno di alcuna esperienza. Forse, un ragionevole punto di equilibrio sarebbe quello di pensare ad un tetto di tre o quattro mandati.

Ineleggibilità o decadenza dal mandato di chi ha subìto una condanna in primo grado. Proposta esagerata. Respingerla non significa voler tutelare il politico di turno, ma i cittadini che lo hanno eletto; accettarla significherebbe affidare ad un singolo giudice (quello del primo grado) il potere di sostituirsi al giudizio democratico degli elettori. Ricordiamo che spesso le sentenze di primo grado (Tortora, ecc.) vengono ribaltate. E' accettabile solo un'ipotesi di esclusione dopo sentenza definitiva (magari anticipando l'esclusione alla sentenza di appello per i reati più gravi, per quelli commessi mediante l'abuso della carica ricoperta o per conseguire la carica stessa come i finanziamenti illeciti, ecc.). 

Se gli obiettivi di Grillo si limitassero alle proposte esaminate, o ad altre indicazioni concrete (in generale, quelle sulla trasparenza e la sobrietà della politica), potremmo parlare di un interessante stimolo riformatore. Ma non è così.

2) Gaffes o intolleranza?

Accade che Grillo prenda gravi cantonate.

Pensiamo alle sciocchezze su Marco Biagi scritte nel libro sul precariato; al risalto dato ad un bidone come il video BBC sui preti pedofili); (o, più di recente, alle incredibili dichiarazione sulla mafia che sarebbe meno peggio della politica, perché "non strangola" i cittadini...).

Queste cantonate, però, non sembrano gaffes involontarie, ma lasciano trasparire preoccupanti venature di intolleranza e di insofferenza al confronto democratico.

Pensiamo alla mancanza di reale democrazia interna al partito: tanta enfasi sul "potere dal basso", ma le decisioni vere - uso del simbolo, linee programmatiche, meccanismi di selezione della classe dirigente (con potere di espulsione degli attivisti ribelli che invocano più democrazia) (anche con accenti volgarmente maschilisti, come l'accusa recente ad una militante recatasi in tv di avere, nell'apparizione televisiva, il proprio "punto G"!) - sono solo di Grillo e del suo braccio destro Casaleggio.

Pensiamo al rifiuto totale di ogni confronto con idee diverse, trincerandosi dietro le giagulatorie sulla stampa "serva del regime". Accuse che sembrano un alibi, se non vengono suggerite anche riforme serie e praticabili per l'informazione e se non viene accettato nessun luogo di dibattito. 

Insomma: alla "trasparenza" proclamata e invocata sull'uso delle risorse economiche nell'attività politica, non corrisponde altrettanta trasparenza nella presentazione di valori, idee, programmi. Le proposte concrete sono spesso semplicistiche e incapaci di risolvere i problemi denunciati.

(Sino ad arrivare, ultimamente, agli eccessi delle "veline" inviate ai giornali da alcuni attivisti).

Ma il versante più preoccupante di Grillo emerge quando formula proposte di "riforma" (o di smantellamento) della politica.

3) "Io li voglio distruggere i partiti, perché sono il cancro della democrazia".

Questo proclama, che risuona negli spettacoli dei suoi tours, rivela un obiettivo chiaro, che può essere chiamato con il suo nome (senza che Grillo faccia l'offeso): antipolitico, populista, demagogico, qualunquista.

Antipolitico, perché non esiste politica (e democrazia) senza partiti.

La crisi della politica  ha origine nella degenerazione di questi partiti, e più in generale del sistema di potere italiano. Possiamo - dobbiamo - denunciarla con forza, e individuare i percorsi di una riforma seria (e non di pallidi maquillages). Ma  parlare di distruzione dei partiti significa non aver capito le cause reali della crisi italiana.

Parlare di distruzione dei partiti significa, inoltre, non capire l'importanza e la delicatezza della funzione della politica. Grillo, come Giannini, immagina che governare sia semplicemente amministrare, far quadrare i bilanci, fare le scelte inequivocabilmente "giuste". Grillo chiama i parlamentari, un po' sprezzantemente, "i nostri dipendenti": a sottolineare non solo che devono rispondere ai loro elettori (il che è giusto), ma anche che si tratta di personale poco specializzato, facilmente sostituibile, chiamato ad eseguire diligentemente istruzioni ricevute.

La politica è tutt'altro. San Tommaso, riprendendo l’analisi aristotelica, definiva l’azione politica come “scienza architettonica della pòlis”: “architettonica” perché presiede al coordinamento di tutte le altre discipline. La competenza politica si nutre di competenza giuridica, economica, filosofica, storica. Tra le tante scelte tecnicamente possibili, deve saper individuare la rispondenza di ognuna al quadro di valori di riferimento, perché non esistono scelte neutrali. La competenza politica, quindi, è una competenza ben più ampia di quella amministrativa e di quella di molti "tecnici" prestati alla politica.

La politica ha bisogno degli uomini migliori di una città, di una nazione, che non siano meri esecutori (come vorrebbe Grillo) di "direttive" da parte dei cittadini "datori di lavoro", poiché questi non hanno il tempo e la visione complessiva per elaborarle proposte articolate e realizzabili. Spetta ai politici elaborare tali proposte - dopo aver attentamente ascoltato esigenze ed interessi - e sottoporle all'approvazione dei cittadini.
Per "politici", ben inteso, non intendiamo necessariamente i politici di professione, coloro che hanno dedicato tutta la vita a quest'attività. Possono esserlo persone che alla politica dedicano una parentesi della loro vita; purché abbaiano la competenza di cui abbiamo parlato e vi dedichino tutte le loro energie.
(Non hanno queste caratteristiche molti dei politici che siedono in Parlamento? Allora cerchiamo le modalità per una migliore selezione della classe dirigente, non rifugiamoci in un banale "tutti a casa!")

I partiti sono il luogo in cui i cittadini si riuniscono, si confrontano, ascoltano le reciproche esigenze (imparando che la società non può girare intorno al loro ombelico), cercano di conciliare interessi diversi (di milioni di cittadini, di migliaia di categorie sociali, alcune anche senza rappresentanza) alla luce dei comuni valori di riferimento.
(Non hanno queste caratteristiche molti degli attuali partiti? Allora cerchiamo le modalità per riformarli, fondiamone di nuovi, ma non pensiamo di poter fare a meno della forma partito).

Parlare di distruzione dei partiti significa, infine, non capire l'importanza che hanno per la difesa della democrazia.

La democrazia vorrebbe essere lo strumento che assicura che le decisioni politiche siano espressione della libera volontà popolare. Ma la volontà, per essere libera, deve essere consapevole.

La democrazia diretta, senza la mediazione di partiti, è quella di una fantomatica società in cui tutti siano chiamati a spingere un pulsante per decidere di argomenti estranei alla loro esperienza concreta, argomenti di cui non hanno (non possono avere: se non altro per mancanza di tempo) cognizione piena. Si traduce in democrazia del caos, dell'approssimazione, della cura del proprio interesse diretto, lasciando all'indifferenza il bene comune; o in democrazia delegata, in cui l'orientamento alle decisioni è esercitato da mezzi di informazione (media, blog come quello di Grillo) che spacciano i loro suggerimenti come indicazioni "tecniche", senza dichiarare il quadro di valori cui si ispirano. La democrazia diretta è realizzabile solo in occasioni particolarmente rilevanti (referendum), in cui i cittadini abbiano il modo di formarsi compiutamente la propria idea.

Similmente, il voto alle liste civiche promosse da Grillo sarebbe una delega in bianco a chi non dichiara le proprie idee, o a un calderone di idee confuse. Si tratta di una proposta populistica, perché dà l'illusione di un maggior protagonismo dei cittadini, di un maggior controllo sulla vita pubblica, mentre in realtà indebolisce questo controllo.

(O meglio, sono ben conosciute le idee di alcuni reduci girotondini riciclatisi nella compagnia di giro di Grillo: postcomunismo radical chic settario. Ma, soprattutto, contratti ben retribuiti con TV e giornali, per istruire i partiti della sinistra su come realizzare questo programma)

I partiti sono un insostituibile strumento di trasparenza democratica.
Il candidato che mi chiede il voto per rappresentarmi non può dichiarare anticipatamente come lo utilizzerà nelle migliaia di occasioni in cui sarà chiamato a esprimersi (nessun elettore avrebbe la pazienza di esaminare una simile lista d'intenti, ammesso che abbia la competenza di comprenderla e che tutte le situazioni siano prevedibili). Ma il candidato può - deve - esporre un programma chiaro, che entri nello specifico delle scelte più importanti, e - soprattutto - mi comunichi il quadro di valori (liberale? socialista? nazionalista? cristiano?) cui si ispira. Solo così il cittadino può sapere anticipatamente se condivide il criterio con cui il suo rappresentante effettuerà le scelte. 
Solo nei partiti si possono incontrare le molteplici competenze e sensibilità per realizzare organicamente programmi ed azioni politiche. E solo i programmi dei partiti hanno la riconoscibilità e la visibilità che li rende giudicabili dai cittadini.

Internet, oggi, ci fornisce una mare di informazioni utili, ci permette di seguire l'azione dei singoli personaggi. Però questo mare di informazioni (in cui rischiamo di perderci) è un prezioso strumento aggiuntivo, che non può sostituire la sintesi complessiva dei partiti (tant'è che quando questa sintesi manca, come oggi, tale mancanza è immediatamente visibile, e suscita comprensibili reazioni).

Non dimentichiamo che la nostra Costituzione, scritta dopo una dittatura, disegna chiaramente un modello di democrazia rappresentativa fondato sulla mediazione dei partiti: "tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale" (art. 49).


Va contro la democrazia anche la convinzione che - per ogni argomento -  esiste solo una scelta "giusta" (la mia), contrapposta a scelte corrotte e interessate (quelle degli altri).
Questa convinzione è sovente utilizzata dai demagoghi, da coloro che (siano o meno potenti e ambiziosi) vogliono sobillare e cavalcare gli istinti popolari. La demagogia di Grillo (e, prima di lui, dei leghisti, dei "girotondini" di sinistra, dei portavoce di una fantomatica "società civile", di tutti coloro - insomma - che si ritrovano orfani di ideali) vuole far leva sulle passioni volgari delle persone, dando loro sfogo: "vaff...!". Vuol assecondare i bisogni immediati, espressi nel primordialismo: "pretendo che le mie cose funzionino, del resto non mi interessa". Vuol far sentire i suoi seguaci dalla parte dei "buoni", confondendo moralità e moralismo.
Tra l'altro, impostare una protesta solo sul moralismo appare un po' temerario da parte di un personaggio la cui carriera è costellata di luci ed ombre.

Si tratta di una china pericolosa, che apre la strada all'intolleranza, all'arroganza, al linciaggio di chi esprime opinioni diverse. Il film (V per vendetta), preso da Grillo come emblema del suo V-day, è un film forcaiolo, intollerante e violento. E se leggiamo i commenti dei navigatori del blog di Grillo, di intolleranza ne troviamo in quantità industriali.

La democrazia, invece, richiede di accettare che esistono idee diverse anche espresse in buona fede. Richiede la pazienza del confronto (che Grillo non sembra voler accettare).

Ma se il fenomeno Grillo ha così tante controindicazioni - potrebbe commentare qualche suo simpatizzante - come si spiega il suo successo?
Premesso che il successo va guardato con attenzione, ma non è garanzia di bontà di una proposta, ci sembra di poterne così  riassumere gli ingredienti:
- simpatia, capacità comunicative e di marketing del personaggio;
- abile miscela di problemi veri con altri verosimili e con soluzioni irrealizzabili, miscela che dà un quadro di credibilità all'insieme;
- centralità della protesta e dell'invettiva, capaci di aggregare consensi più facilmente di quanto possa fare ogni proposta costruttiva;
 - crisi culturale e ideale (di cui non è responsabile Grillo, ma l'attuale sistema), che rende molti, soprattutto giovani, incapaci di un'attenta lettura politica della realtà;
- scelta di un bersaglio facile, i partiti. "Facile" non da abbattere, ma da additare per ottenere consenso generalizzato (si tenga conto che l'attuale popolarità di Grillo non è tutta merito della mobilitazione del web, ma è stata gonfiata dai mezzi di comunicazione (e dai loro editori) in chiave antipartitica; gli stessi mezzi di comunicazione che dedicavano a Grillo spazi molto minori quando lanciava accuse contro banche e industrie);
- populismo demagogico, che - fornendo soluzioni semplicistiche, consentendo lo sfogo e la partecipazione via internet, ecc. - dà l'illusione del protagonismo.
(All'affermazione del fenomeno ha poi decisamente contribuito l'acuirsi della crisi economica, con l'inevitabile conseguente sentimento di rabbia e di protesta. Anche il fenomeno di Giannini nacque in un contesto di emergenza, quello seguito alla Seconda Guerra mondiale).

In linea generale, sono gli ingredienti del successo di ogni populismo, in ogni epoca e ad ogni latitudine, laddove il sistema istituzionale si rinchiude in se stesso e si rivela incapace di dare risposte ai problemi. Il populismo riempie un vuoto.

Concludendo. A noi piaceva molto il Grillo comico, capace di cogliere tic e manie degli Italiani: anche quello poteva essere un modo di far crescere la società civile. Potrebbe piacerci anche il "Grillo parlante", capace di individuare problemi concreti e ingiustizie, e di confrontarsi nella ricerca delle soluzioni.
Non vogliamo alzare le spalle di fronte ai problemi denunciati, non vogliamo assecondare quei politici arroganti che parlano - come noi - di demagogia di Grillo, ma lo fanno senza volontà di cambiare, sospirando che non bisogna disturbare il manovratore.
Solo che noi vorremmo confrontarci su soluzioni meno rabbiose, più complesse - forse -, ma senz'altro più praticabili.

Il Grillo demagogo, invece, ha rinunciato ad elaborare una proposta complessiva seria, che lo avrebbe esposto all'accusa di voler fare il "politico" (cosa che a lui sembra disdicevole). Forse si è trattato della scelta deliberata di chi si è fatto prendere dall'ebbrezza del capopopolo. O forse è la paura di chi ha studiato molto per acquisire competenze ambientali, finanziarie, industriali; ma non ha capito la politica.

La sua iniziativa può definirsi qualunquista non solo perché - come visto - antipolitica, populista, demagogica; ma anche perché, come L'Uomo qualunque di Giannini, è in ogni caso destinata al fallimento. Ed è un peccato, perché si tratta di un'occasione persa.
All'agitazione creata Grillo dovrebbe saper dare risposte concrete (che vanno oltre qualche propostina di legge); altrimenti all'illusione segue inevitabilmente la delusione.

Intendiamoci: non si può escludere l'ipotesi che quella di Grillo si riveli un'iniziativa capace ugualmente di dare un grande scossone alla politica, seppure con risultati diversi da quelli - fumosi - che sono nelle intenzioni di chi alimenta lo scossone. Ma quali possono essere questi risultati?

Nel dopoguerra c'era un De Gasperi, capace di incanalare le proteste in un grande progetto politico che ha saputo far risorgere l'Italia.
Oggi che non c'è un De Gasperi all'orizzonte, speriamo che - dopo lo scossone-Grillo - non si faccia avanti qualcuno dicendo: "Ha fallito la democrazia rappresentativa dei partiti, ha fallito la democrazia diretta di Grillo, datemi in mano le cose che ci penso io!"



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