Vignetta di Vincino, da Il Foglio
Esistono - ed abbiamo cercato di analizzarli - aspetti più generali della crisi della politica italiana, riferiti al sistema di potere (non solo politico), agli errori del sistema dei partiti (dei diversi colori). Ma esistono anche aspetti di crisi che sono caratteristici delle singole storie politiche.
Il processo con cui nasce il Partito Democratico ci sembra emblematico dell'impotenza della sinistra "riformista" italiana.
Una sinistra che si dice riformista, ma è incapace di fare le riforme.
Una sinistra che invoca democrazia e partecipazione, ma poi dà il via ad un processo costituente in cui si conferma che i partiti, invece di essere strumenti per la partecipazione alla vita pubblica, sono divenuti sempre più autoreferenziali e distanti dal cittadino elettore, che è ormai uno spettatore inerme di quanto accade nel mondo politico.
Il ricorso allo strumento della consultazione popolare (le "primarie" del 14 ottobre) è senz'altro un elemento positivo, in un contesto politico in cui la partecipazione popolare alla politica è sempre più diradata.
Ma queste primarie costituiscono anche un'occasione sprecata, perché non se ne sono accettate fino in fondo le potenzialità democratiche.
Col Partito Democratico nasce certamente un partito nuovo, che deve fondere due classi dirigenti (diessini ed ex popolari della Margherita) ben radicate. Una tale fusione non può essere indolore, o totalmente programmata a tavolino: ci sono stati e ci saranno aspri scontri dietro le quinte, malcontenti. Il ricorso alle primarie potrà condurre anche a sorprese, almeno a livello locale.
Ma basta questo per sostenere che le decisioni vengono prese dalla "base"?
Beh, alla decisione di unirsi nel Pd i due partiti fondatori - Margherita e Democratici di Sinistra - sono arrivati con la strada dei congressi. Strada in cui - lo si dovrebbe sapere - i meccanismi di corrente contano spesso più del contenuto delle scelte politiche.
In verità, le basi elettorali dei due partiti erano tutt’altro che entusiaste del progetto di fusione. In particolare la base dei Ds, i cui militanti erano consci e orgogliosi di appartenere al secondo partito italiano per numeri elettorali, al primo per organizzazione, un partito strutturato sul tutto il territorio e con una lunga tradizione. Inoltre, dopo aver speso una vita a dire che i democristiani erano il peggio del peggio, l’idea di essere nello stesso partito risulta indigesta e difficile da giustificare. Finché si trattava di un’alleanza elettorale, poteva anche andar bene. Si sa, il fine giustifica i mezzi, e per la vittoria del Partito si è pure disposti a turarsi il naso; ma De Mita come “compagno” di partito è troppo!
Contraria era anche larga parte della base della Margherita. Anch'essa reduce - la parte ex democristiana - da una vita a combattere i comunisti. Con il timore aggiuntivo che - più che di una fusione - si tratti di un'incorporazione da parte dei Ds.
Neanche le classi dirigenti dei due partiti, a dire il vero, sembrano giurare sulla riuscita dell'operazione: i diessini non hanno conferito al nuovo partito il loro immenso patrimonio immobiliare, ma lo hanno intestato a fondazioni composte da militanti di provata fede, con carica vitalizia!
Più che dagli elettori, la fusione sembra essere stata decisa dall'alto, da quei gruppi di potere (stampa, banche, assicurazioni) che rappresentano l'azionista di riferimento di questo partito. Ricordate quando de Benedetti, proprietario de La Repubblica, lanciò l’idea del Partito Democratico, individuandone i leader in Veltroni e Rutelli?
I militanti, poi, non sapevano (e non sanno...) che fisionomia avrà il nuovo soggetto politico. Potranno decidere questa fisionomia, scegliere liberamente le classi dirigenti in grado di rappresentarla?
Neanche questo pare possibile, se è vero che al voto si arriva con un accordo "blindato" tra la quasi totalità delle classi dirigenti di DS e Margherita, come emerge dalla presentazione del ticket Veltroni-Franceschini.
Il fatto è che prima si è raggiunto l'accordo di vertice su Veltroni come segretario. Poi, per dare un tocco di democraticità - o, meglio, una sorta di investitura popolare -, si è dato il via a una competizione stile primarie di Prodi, in cui i concorrenti più forti (D’Alema, Fassino, Bersani, Rutelli, Marini, Fioroni) non corrono.
Bersani voleva, ma lo hanno costretto a rinunciare "per non confondere i militanti" (sic! La competizione democratica crea confusione?)
Da questa blindatura sono usciti con le ossa un po' rotte - rispetto alle loro ambizioni - Rutelli, Parisi, Fassino e Bersani; ma tutti hanno fatto buon viso a cattivo gioco, e contrattato un loro spazio.
Anche chi ha scelto la strada di candidarsi - Letta e Bindi - lo ha fatto quasi in punta di piedi, senza spiegare bene le ragioni della propria differenziazione, appoggiando in molte Regioni i candidati di Veltroni, ripetendo in continuazione che "non bisogna fare troppe polemiche", che dopo il voto "bisognerà lavorare insieme", e via dicendo. I candidati, poi, hanno accuratamente evitato le occasioni di confronto pubblico.
Anche nelle Regioni le liste sono frutto di accordi locali. Sono molte le realtà in cui Letta e la Bindi appoggiano il candidato segretario regionale di Veltroni. E quando l'accordo si faticava a trovare - vedi Campania - sono state concesse due settimane (!) di proroga rispetto alla scadenza prevista per la presentazione delle liste: non sia mai che i cittadini potessero scegliere tra candidati realmente in competizione! (Pare che, in ogni caso, la litigiosa Campania l'accordo non lo abbia raggiunto)
Insomma, i cittadini che si recheranno a votare troveranno il "pezzo da novanta" Veltroni, con la sua cura dell'immagine e un progetto retorico, ecumenico e confuso. E non avranno alternative convincenti.
Enrico Letta, a nostro avviso, costituirebbe una scelta più seria e innovatrice di Veltroni; ma è privo di ogni sostegno che gli dia reali chances di vittoria..
Si era anche detto che il nascente Partito Democratico non doveva essere la mera somma dei Ds e della Margherita, ma un nuovo e più grande soggetto aperto alle altre forze della sinistra riformista.
Ovviamente è accaduto il contrario.
Quando sono arrivate due candidature di peso come quelle di Pannella e Di Pietro che è successo? Sono state rifiutate. Peraltro, se quella di Pannella si può ritenere la solita sceneggiata radicale per acquisire visibilità (in ogni caso del tutto legittima, se non altro perché l'idea di un Partito Democratico in Italia fu lanciata proprioda Pannella vent'anni fa), non si capisce il no a Di Pietro. Alla faccia dell’ "Unione”.
Si era detto che il nascente Partito Democratico doveva essere aperto alla società civile.
E anche qui è accaduto il contrario.
Sono state stabilite regole congressuali (numero di firme, collegamenti a liste in diverse Regioni, tempi strettissimi per la presentazione, ecc.) che hanno reso estremamente ardua - se non impossibile - la candidatura di chi alle spalle non avesse una struttura organizzata.
Si sa già che il segretario sarà Veltroni, uno che fa politica solamente dagli anni ’70.
Le liste collegate ai candidati sono "bloccate" (senza preferenza), per cui gli esponenti della società civile che sono presenti in queste liste, e che saranno eletti, sono stati scelti - cooptati - dalla nomenklatura politica.
Si era detto pure che doveva essere un partito giovane, aperto ai giovani.
Ebbene, sarà un aspetto secondario, ma alla guida del Comitato promotore che sosterrà Walter Veltroni a segretario del Pd vi è Oscar Luigi Scalfaro, ex Presidente della Repubblica e senatore a vita, che viaggia per i 90 anni...
Visto tutto ciò, è un caso se, alla vigilia di un evento - le primarie del 14 ottobre - che dovrebbe entusiasmare i cittadini di sinistra, questi stessi cittadini guardano con simpatia alle intemerate anti-politica di Grillo?
Ribadiamolo: peccato per l'occasione persa, perché la linea di far votare e scegliere la classe dirigente direttamente ai tesserati non va certo abbandonata, ma ripresa, dotata di garanzie serie sulla reale possibilità di scelta, riproposta in tutte le sedi nazionali e locali, da tutte le forze politiche.