Già nel 410, anno in cui i Visigoti di Alarico misero al sacco Roma con tecniche sicuramente meno sofisticate di quelle odierne, assediando la città e aspettando che le epidemie e la fame facessero il resto, alcuni uomini di Chiesa espressero il loro giudizio sulla guerra. Sant’Agostino nella sua opera De Civitate Dei formulò la teoria della “Guerra Giusta”, ovvero “una felicità per i malvagi, ma una necessità per i buoni”. Sin dagli albori della Chiesa, vi è sempre stata la necessità di quest’ultima di relazionarsi con la comunità politica e vi sono state diverse fasi evolutive che hanno portato alla situazione attuale. Nell’epoca medievale vi era la “Potestas directa Ecclesiae in temporalibus”, ossia l’intervento della chiesa non solo per le cose spirituali, bensì anche nelle questioni temporali. Una realtà dove i confini della comunità politica coincidevano con i confini geografici della cristianità. L’episodio di Canossa tra Enrico IV e Gregorio VII ci fa riflettere su come la scomunica estromettesse un uomo dalla comunità in cui viveva. Successivamente al Concilio di Trento, vi fu una potestà indiretta della Chiesa sul potere temporale, che rilevava solo nelle “res mixtae”, cioè cose di comune interesse tra comunità politica e Chiesa.
Ai giorni nostri, la Chiesa ha una “potestà” (intesa come “potere obbligante” per i credenti) sul piano morale, e quindi ha una legittimazione sul piano spirituale e non politico. Il mancato esercizio di tale prerogativa sarebbe un tradimento al Suo fine proprio, che concerne la “salus animarum”. Ciò non toglie che la Chiesa, preoccupandosi di tutto l’uomo, in tutti i settori in cui si realizza la sua storia di salvezza, rivendichi il diritto di pronunciarsi anche in materia sociale e politica: ma non come soggetto politico ‑ che agisce direttamente nelle istituzioni ‑, bensì come autorità morale che si appella a cittadini e soggetti politici.
Da qui si può vedere come le dichiarazioni dei Papi e le opinioni delle associazioni cristiane si riflettano nel principio di esprimere moralmente il loro pensiero. Givanni Paolo II ha celebrato la guerra come una sconfitta per l’umanità. Una sensibilità già dimostrata da suoi predecessori come Benedetto XV, che nel 1914 definì la prima guerra mondiale “un’inutile strage”, e come papa Giovanni XXIII, che durante la crisi dei missili a Cuba nel 1963 scrisse l’enciclica Pacem in Terris.
La Chiesa ricorda che persiste il male nel mondo, conseguenza del peccato originale (che non esprime solo l'eredità del peccato di Adamo ed Eva, ma anche la predisposizione al male che è nel cuore e nella natura - lapsa - di ogni uomo). In presenza di tale male, resta valido per le nazioni il principio della legittima difesa (vedi il Concilio Vaticano II, Cost. past. Gaudium et Spes, 79 d), o della “ingerenza umanitaria” (si pensi agli appelli di Giovanni Paolo II negli anni ’90 per un intervento in Bosnia). La Chiesa ritiene però che i casi in cui sia legittimo l’uso della forza debbano oggi restare rare eccezioni. Le forti grida del popolo della Chiesa che inneggia alla pace dimostrano come il messaggio sia sempre più forte e voglia cercare di arrivare a tutti per cambiare l’uomo e indirizzarlo verso un cammino di pace, da costruire nella vita di ogni giorno.
La pace di cui si fa portatrice la religione cristiana, in effetti, si distingue dalle utopie pacifiste perché non consiste in un modello di società, né in una serie di regole formali (la "tolleranza", il "rispetto"). La pace cristiana ha bisogno della giustizia, ma - non essendo possibile la giustizia perfetta - ha bisogno soprattutto della misericordia. La pace cristiana è Cristo, che ci ha dato la Sua Pace, una Pace che può svilupparsi se cambia il cuore dell’uomo, se si diffonde una cultura della vita (Santa Teresa di Calcutta ricordava: "Il più grande distruttore della pace è l’aborto, perché se una madre può uccidere il proprio figlio, quanto manca perchè io possa uccidere te e tu uccidere me?"), se viene annunciata all'uomo la Verità su se stesso che Cristo ha rivelato.
S. Francesco d'Assisi accompagnò la Quinta Crociata. Non per combattere, certamente; ma per cercare di convertire il Sultano di Damietta (non vi riuscì, ma si guadagnò l'ammirazione di quello). La Pace cristiana è profezia concreta (non nasce dal mondo, ma è nel mondo) e non utopia astratta (che nasce dal mondo, ma non è in grado di realizzarsi nel mondo).