Uno studio recentemente pubblicato dalla Banca centrale europea (nel Working paper n.747 di aprile) mette in evidenza che la pressione fiscale in Europa è molto più alta che negli Stati Uniti.
Nei Paesi dell'Eurozona, in media, il carico fiscale complessivo (imposte dirette, indirette, cuneo fiscale e contributivo) è del 64,1% sul PIL (dati OCSE, BCE, riferiti al 2004). L'Italia, naturalmente, si distingue perché va anche oltre: 65,8 %. Se poi teniamo conto delle ampie sacche di evasione nel nostro Paese, la pressione fiscale sui soggetti che effettivamente pagano le tasse è ancora superiore: una ricerca diffusa dall'Ufficio studi dell'Agenzia delle Entrate il 13-6-2007 calcola che la pressione fiscale effettiva sui contribuenti onesti sia superiore del 9% a quella nominale! (Escludendo gli oneri contributivi, nel 2004 si passa da un 41,42% nominale ad un 50,47% effettivo).
Negli USA, invece, siamo poco oltre la metà del carico fiscale complessivo europeo: 37,3%. La differenza principale la fa il cuneo fiscale e contributivo a carico delle imprese: 21,9% nei Paesi dell'area Euro, 7,1% negli USA.
Il vantaggio di una pressione fiscale più bassa è abbastanza intuitivo. Ma lo studio della BCE fa anche simulazioni precise, basandosi sugli studi del premio Nobel per l'economia (nel 2004) Edward C. Prescott. Una riduzione ai livelli USA produrrebbe un incremento a lungo termine della crescita economica del 10-12%, e un aumento dei salari del 25%.
A questa prospettiva vengono poste di solito alcune obiezioni emotive, poco fondate economicamente.
Ad esempio: "non vogliamo diventare come gli Stati Uniti, il Paese del 'capitalismo selvaggio', con una spesa sociale molto più bassa della nostra".
In realtà, se conoscessimo meglio pregi e difetti degli USA, scopriremmo anche che la spesa sociale pubblica di quel Paese è di circa il 15% del PIL, contro il 25,5% della media UE. Una differenza, del 10%, dunque, mentre la differenza delle entrate è del 27%! Il che significa che le maggiori entrate europee servono soprattutto ad alimentare la burocrazia pubblica, che è molto meno efficiente nell'allocazione delle risorse (anche a fini sociali) di quella privata. Aggiungiamo che, nel caso USA, al 15% di spesa sociale pubblica bisogna aggiungere un'ingente spesa sociale privata, favorita dalle larghe deduzioni fiscali.
Tra le altre obiezioni, spesso si sente dire: "abbassare le tasse farebbe diminuire le entrate, aggravando il debito pubblico o costringendo a tagliare la spesa sociale"; oppure: "abbassare le tasse favorisce i ricchi".
In realtà, come dimostrano gli esempi di tutto il mondo che troviamo in un altro articolo, la riduzione fiscale per un verso alimenta lo sviluppo e gli investimenti, per l'altro scoraggia il ricorso all'evasione o all'elusione. La crescita della base imponibile (anche per la maggiore occupazione) si traduce in un aumento del gettito; rendendo meno attraenti i comportamenti opportunistici, si favorisce uno spostamento del baricentro della tassazione verso le fasce sociali a più alto reddito.
Più sviluppo significa PIL più alto e più risorse da spendere in termini assoluti, anche con percentuali più basse. Nel giudicare le percentuali USA, dunque, bisogna tener conto che si applicano ad un PIL più elevato.
Più sviluppo e distribuzione più equa del reddito signfica minore necessità di sussidi, da destinare alle categorie davvero svantaggiate.
Senza dimenticare l'insostituibile valore della libertà di cui gode il cittadino-lavoratore-contribuente quando dispone di più soldi e può decidere come spenderli.
Concludendo. Non vogliamo proporre quello statunitense come modello da imitare pedissequamente, visto che si inserisce in una tradizione diversa e ha anch'esso i suoi limiti. Dobbiamo però tener presente che esiste una legge universale per cui minor presenza pubblica significa più efficienza, più ricchezza, più giustizia sociale.
Sappiamo anche che in Italia il cammino della riduzione del carico fiscale dev'essere graduato (visto l'alto debito ubblico) e non generalizzato (visto che deve mirare anche a sanare alcune iniquità, come quelle di cui sono vittime le famiglie).
Ma la strada dello sviluppo non conosce altre direzioni.