Il 23-2-2007, su Avvenire, Stefano Andrini intervista il sociologo Pierpaolo Donati.
«L'idea che la famiglia sia una creazione del cristianesimo è una vecchia tesi dell'Ottocento, propalata dagli studiosi di quel tempo con molta fantasia e poche o nulle informazioni scientifiche. La ritroviamo in Marx e in tanti altri pensatori. Le scienze sociali dell'ultimo secolo hanno appurato che non c'è società senza famiglia, e che la famiglia non è soggetta a leggi evoluzionistiche lineari, in qualsivoglia direzione». Lo afferma il sociologo Pierpaolo Donati.
«Il fatto storico della famiglia - aggiunge - è documentato sin dalla notte dei tempi, se si osservano per esempio le tombe sepolcrali dove venivano riposti un uomo e un donna, e magari i figli. A livello scientifico, esiste un archivio etno-antropologico presso l'università della California, che ha schedato le informazioni empiriche relative a quasi tutte le società conosciute, da quelle primitive sino al Novecento. Il risultato delle analisi condotte è che la famiglia - concepita come unione stabile di un uomo, una donna e i loro figli (così la definisce l'antropologo francese Claude Lévi-Strauss) - è presente in tutte le società, ovviamente con delle variazioni dovute a fattori culturali e ambientali. Si ha notizia di due sole tribù in cui non si riscontra la famiglia nucleare, ma esse sono scomparse proprio perché non avevano una struttura familiare capace di rigenerare la società».
Perché la civiltà occidentale sembra voler rinnegare oggi uno dei suoi pilastri come la famiglia?
«Non è da oggi, ma da almeno due secoli che la famiglia è oggetto di teorie che sostengono che la famiglia è un retaggio del passato, una necessità strumentale delle economie arcaiche. Però oggi l'attacco è più forte perché la società contemporanea tenta un esperimento inedito, quello di liberare l'individuo (generalizzato in senso astratto) da tutti i legami sociali, pensando che senza tali legami le persone possano vivere più libere e felici. La società postmoderna vuole "immunizzare" gli individui dalla famiglia. Questo sogno, che in passato è stato tentato su piccola scala, oggi guida la globalizzazione occidentale, spinto in avanti soprattutto da enormi interessi economici».
La definizione di famiglia come società naturale è ancora attuale?
«Oggi più che mai la famiglia è una realtà "naturale", se con questo termine non si intende una cosa fissa, scritta sulla pietra, ma il senso profondo di una relazione fra i sessi e fra le generazioni che costituisce il momento in cui la natura si fa cultura. Il punto è che il diritto naturale deve essere sviluppato su basi culturali appropriate, che oggi mancano perché si preferisce pensare che la famiglia sia solo una costruzione artificiale, che ciascuno può scegliere e fare a piacimento. Un grande inganno, come sanno tutti coloro che fanno questo esperimento».
Ci sono tracce nella storia di altri gravi attacchi alla famiglia?
«Dal Seicento ad oggi, a partire da alcune correnti del mondo protestante insediato nel Nord America, si è sostenuto che, poiché il Vangelo dice che in cielo non ci saranno né mariti né mogli, tanto vale abolire il matrimonio già su questa terra (qualcosa del genere era già stato detto molti secoli prima). Nel Novecento, il tentativo più grandioso di eliminare il matrimonio è stato fatto nell'Unione Sovietica dopo la rivoluzione del 1917. Nello stesso periodo storico qualcosa di simile è stato tentato nei Kibbutz in Israele. È noto che tutti questi tentativi sono falliti. La connessione fra matrimonio e famiglia è riemersa ovunque. Oggi la novità viene dalle società che hanno un welfare più avanzato (come nei Paesi scandinavi), dove sembra che il matrimonio non abbia più valore. In realtà succede che la società, in questi casi, attribuisce ai conviventi le qualità dei coniugi, anche se questi non fanno il matrimonio. Chi ci perde sono le persone, che rimangono prive del bene di una relazione umanizzante e sono esposte a continue e snervanti negoziazioni e riprogettazioni senza radici solide». (...)
Il 15 e il 20-3-2007, su Avvenire, Lucia Bellaspiga intervista sullo stesso tema gli archeologi Emmanuel Anati e Umberto Sansoni.
Mancavano tremila anni alla nascita di Cristo il giorno in cui, accucciato sulla roccia, un antico Camuno con la punta dello scalpello incideva la scena che ancora oggi ci appare lampante, come appena fatta: un uomo e una donna in coppia, e accanto i loro due bambini, un maschio e una femmina. In una parola: una famiglia. L'arte preistorica, si sa, ricorre molto spesso al simbolismo: «E infatti simbolica è la linea che unisce i piedi di marito e moglie, come un giogo. Non scordiamo che è questo il significato di "con-iugi": uniti dal giogo, legati stabilmente». Emmanuel Anati, il noto archeologo esperto dell'arte rupestre di tutto il mondo, fondatore in Val Camonica del Centro camuno di Studi preistorici, e Umberto Sansoni, vicedirettore del Centro, oppongono i fatti a chi oggi vorrebbe "posticipare" la coppia unita in matrimonio e la sua estensione, la famiglia, come fosse un'«invenzione» post-cristiana.
Professor Anati, lasciamo allora che a rispondere sia l'archeologia.
«Non c'è civiltà antica che non abbia avuto la sua concezione ben netta di unione matrimoniale e di nucleo familiare. Gli esempi sarebbero migliaia. A dire il vero basterebbe leggere il Vecchio Testamento, dove la solidità dell'istituzione familiare è chiarissima. Ma possiamo andare anche molto più indietro, grazie all'archeologia, per capire che ben prima del cristianesimo il matrimonio come unione stabile e sancita era una realtà consolidata. Cosa che d'altra parte si desume senza dubbio anche studiando gli usi dei popoli attualmente fermi al Paleolitico». (Ci permettiamo di aggiungere che però una novità importante il cristianesimo l'ha aggiunta: la trasformazione del matrimonio da unione stabile a unione indissolubile, vietando in particolare la possibilità del ripudio della donna, diffusa in molte culture. Ndr)
(...) Ma quanto indietro possiamo risalire per incontrare un "contratto" matrimoniale?
«La scoperta è rivoluzionaria e di recente interpretazione: in Dordogna, in Francia sud-occidentale, c'è un complesso di diciannove blocchi di pietra incisi, risalenti a trentamila anni fa. I simboli femminili sono ognuno associato ad animali totemici che indicano l'appartenenza del maschio cui unirsi. Si tratta secondo le ultime interpretazioni del più antico regolamento familiare, vero e proprio contratto di unione stabile. Nessuna invenzione modernista, come vede... Ma potremmo citare miriadi di altri esempi, dall'arte rupestre della Siberia agli Inuit eschimesi del nord canadese, passando per gli Etruschi o tutte le popolazioni di origine indoeuropea... Sarebbe più facile contare semmai quali sono le popolazioni che non hanno avuto alla loro base, come fondamento assoluto e insostituibile, il matrimonio e la famiglia. Pensiamo al bellissimo e famosissimo "sarcofago degli sposi" etrusco, dove il defunto è legato per l'eternità alla moglie, in un'unione che trascende anche la vita. O alle lapidi funerarie romane anche anteriori a Cristo, in cui sono enumerati costantemente il pater familias, la consorte e tutti i figli: una famiglia granitica e inscindibile anche dopo la morte».
(...) Per quali esigenze, dal punto di vista della paletnologia, un uomo e una donna sentirono il bisogno di "isolarsi" assieme ai loro figli, pur rimanendo nel gruppo?
«Per un senso di sopravvivenza: la donna doveva essere protetta e aveva bisogno che il suo uomo, stabilmente, in rapporto fiduciario, procurasse il cibo mentre era gravida e allattava. Il passaggio successivo è la gratificazione, il senso d'appartenenza, lo star bene insieme senza sentire il bisogno di altre relazioni».
(...) Per Umberto Sansoni «Anche Roma, già in età repubblicana, offriva ben tre tipi di matrimonio, alla base di una concezione molto rigida di famiglia: «Il primo tipo, presto abbandonato, assomigliava a un Dico ante litteram – spiega Sansoni –: dopo un anno di convivenza si era marito e moglie. Ma abbiamo poi descrizioni puntualissime di altri riti elaborati e ricchi di significati simbolici poi in parte accolti dal cristianesimo», come la fede all’anulare («perché il dito in cui si credeva passasse il nervo che andava dritto al cuore») o la presenza dei testimoni. «È solo con il II secolo d.C. – sottolinea – che la coppia fedele e monogamica va in crisi: dissoluzione dei costumi e instabilità della famiglia vanno a pari passo». E da lì in poi i vari Marziale o Giovenale lamentano divorzi e separazioni facili, con nostalgia per i tempi in cui famiglia e matrimonio erano indissolubili. (Anche nei momenti di crisi concreta dell'istituto matrimoniale, i Romani non misero mai in dubbio la natura del matrimonio. Per Modestino, uno dei cinque grandi giuristi classici, "Nuptiae sunt coniunctio maris et feminae et consortium omnis vitae, divini et humani iuris communicatio": "Il matrimonio è l'unione di un uomo e di una donna, la partecipazione di tutta la vita, il render comuni il diritto umano e quello divino - ndr).
Anche per la Grecia, parecchi secoli prima di Cristo, gli esempi si sprecano: «Nei Persiani Eschilo dice che l’uomo era passato dalla condizione bestiale a quella civile solo con l’istituzione del matrimonio – cita Sansoni –, in quanto patto sacrale che ci avvicina agli dei».
(...) Ma altre forme [di unione] esistevano?
Per Anati «potevano esistere, a seconda delle epoche, ma non erano mai considerate famiglia, né erano regolamentate da alcuna formula». (...) Per Sansoni «dire che la famiglia e il matrimonio sono perfettamente documentabili in tutte la civiltà antiche non significa negare poi che esistessero altre forme di unione o di costumi sessuali, seppure sempre considerate "a latere" rispetto alla famiglia vera e propria».